Il manifesto di Davos, guida per il capitalismo

Una strana storia quella del concetto di Globalizzazione. Comparso in modo piuttosto oscuro in alcuni scritti francesi e statunitensi negli anni ‘60, ha poi trovato massima diffusione nell’era del movimentismo nel villaggio globale a cui si è posto brutalmente fine con il G8 di Genova del 2001, per poi essere uscito quasi completamente dall’orbita del senso comune.

Held e McGrew, due studiosi molto accreditati sulla nozione di “Globalizzazione” ci forniscono delle mappe molto utili per orientarci.

Sebbene ci sia accordo sull’identificazione del concetto di “Globalizzazione” con quel processo di intensificazione dei rapporti economici, di liberalizzazione dei Capitali, di interconnessione ed interdipendenza di tutti i sistemi sociali sul pianeta, sussistono distinzioni profonde sul modo in cui viene concepita la Globalizzazione, sulle sue dinamiche causali, e su cosa dovrebbe essere conseguenza strutturale di tale supersistema.

Possiamo individuare tre scuole principali che avanzano un proprio resoconto sui fenomeni della Globalizzazione: gli iperglobalizzatori, gli scettici e i trasformazionalisti.

Ohmae parla di Globalizzazione come una nuova era in cui il mercato globale sta disciplinando e normativizzando le persone, gli abiti, i costumi e i modelli di pensiero in ogni parte del mondo, in cui lo Stato-Moderno non ha più senso di esistere né forza per resistere.

Thompson al contrario sostiene che la Globalizzazione altro non sia che un mito. Mito prodotto da resistenze di vario tipo ad una governance dell’economia internazionale segmentata in tre forti blocchi geopolitici, che ha prodotto varie differenze di concentrazione di ricchezza. Una situazione in cui resta però fondamentale l’utilizzo di una qualche forma di potere riconducibile ad una territorialità degli interessi. Gli Stati-moderni servono, depotenziati rispetto all’originale funzione, come regolarizzatori nell’agenda neoliberista.

Giddens, in ultimo, sostiene che tutte le società del mondo, nel processo di Globalizzazione, stanno sperimentando profondi cambiamenti prodotti dalla rapida interconnessione dei vari fattori economici, cambiamenti determinati dal processo di adattamento alla grande condizione di incertezza che deriva dalla complessità del supersistema.

È in questo contesto che ci sembra estremamente sensato porre una questione sostanziale se pensiamo ai fenomeni economici che coinvolgono tutte le società del globo.

Cosa governa il mercato globale? Esistono delle dinamiche spontanee, autopoietiche del sistema, o esistono decisioni che hanno più forza di altre, e quindi esistono decisori più influenti di altri?

La nostra indagine per tentare di rispondere a questi spinosissimi quesiti parte da un documento molto interessante del 1973, che prende il nome dal luogo in cui ha ospitato la sua prima scrittura: il Manifesto di Davos.

Documento aggiornato nel 2020, durante l’anno della Pandemia.

Ogni anno, a Davos, nella cittadina delle Alpi svizzere, si svolge una Conferenza organizzata dal World Economic Forum, ovvero un gruppo di miliardari, capitani di industria e Capi di Stato provenienti da ogni parte del mondo. Con il primo manifesto di Davos si diede il via ad una gestione del capitalismo sempre più verticistico e una programmazione statale in economia via via più privatistica. La piramide sociale iniziava a configurarsi con una base sempre più larga, l’apice non poteva che vedere il mondo da una prospettiva tutta sua e, necessariamente appiattita. E questa è solo l’introduzione ad un percorso che raggiunge i giorni nostri.

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