Ennesimo schiaffo del Governo ai candidati: il maxiemendamento dell’ultimo minuto

Mentre sembrava che il Decreto Legge reclutamento dovesse essere licenziato così come partorito dal Consiglio dei Ministri, commissione “Affari Costituzionali”, ecco l’ennesima beffa a danno dei “concorsisti” che da qualche mese a questa parte sembrano essere il capro espiatorio di questo Governo e del Ministero della Pubblica Amministrazione in particolare, retto dal forzista Renato Brunetta.


L’emendamento in questione estende la disciplina del reclutamento a tempo determinato, originariamente prevista per il solo Piano nazionale di ripresa e resilienza, anche alle amministrazioni non titolari di progetti finanziati con fondi europei. Inoltre, con l’ambiguo art. 3 bis si prevedono forme di valutazione per titoli per quei comuni che decideranno di aggregarsi per espletare le rispettive selezioni, in sfregio dell’emendamento Bressa recentemente approvato.


Il sospetto è che l’intenzione dell’Esecutivo, nonché di una larga parte delle forze politiche presenti in Parlamento, sia quella di estendere la disciplina delle selezioni pensata per i progetti del Recovery Fund a tutte le tipologie di assunzione. Così facendo, dunque, si va verso una precarizzazione del lavoro pubblico e verso forme di selezione che differiscono dal classico ed equo concorso aperto a tutti, anche per le poche assunzioni a tempo indeterminato che si andranno ad effettuare nel futuro prossimo.


Ma cosa prevede la normativa per le selezioni del Recovery Fund? Che le assunzioni avverranno tramite il portale del reclutamento dove verranno pubblicati una serie di elenchi: alcuni per professionisti iscritti agli albi o meno (le cosiddette professioni non ordinistiche, la cui definizione data dal legislatore è a dir poco ambigua) e altri per le alte specializzazioni (dottorati, master di II livello ed esperienza internazionale di almeno 3 anni). Le amministrazioni potranno così pescare da lì, con “procedure comparative”, gli interessati che poi dovranno sottoporsi ad un colloquio informale come nel settore privato.


Quello che però lascia maggiormente sbigottiti è che – in riferimento ad alcuni articoli presenti nel testo – si parli di incostituzionalità anche nella scheda di lettura della Camera dei Deputati, ramo del Parlamento dove non si è potuto procedere alla lettura e alla modifica del testo in quanto arrivato blindato dalla fiducia. Eppure ci sarebbero moltissime parti del testo licenziato dal Senato che andrebbero riscritte o addirittura cassate.


Proprio il massimo organo giudicante le leggi italiane, la Corte costituzionale, da diversi decenni afferma che il concorso sia il mezzo più opportuno per selezionare i più meritevoli in ottemperanza al criterio di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione.


Ci auguriamo che il dibattito politico non si areni col voto dello scorso 5 agosto e che continui una riflessione circa la necessità che vengano rispettati i principi di parità di trattamento nell’accesso ai pubblici uffici stanti gli articoli 51 e 97 della Costituzione.


Comitato no riforma concorsi PA

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