I racconti dello Zio Valim: Trolley

I racconti tra il serio e il faceto, tra l’impegnato ed il ludico che si muovono tra la realtà e il sogno, tra la Terra e il Mondo di Morfeo.

 

Trolley

 

Mi inoltro nell’atrio della stazione con la testa vuota a causa del caldo e del sonno. Ma quando finisce questo cazzo di caldo? A che ora? Soffoco in mezzo a tutta questa gente, sola come me, senza nome. Mi circonda, mi guarda ma non mi vede, e questo maledetto trolley che comincia a ballare. Cerco di capire quale binario devo raggiungere. 

- Ehi amico dammi qualcosa.

Metto la mano in tasca e tiro fuori qualche monetina.

- Ecco, non ho molto da darti

- Si, me ne sono accorto dal trolley, forse riesco a farmi un panino…senza niente. Grazie

- Bene, non abbuffarti a quest’ora, e vaffanculo pure tu. 

Individuo il binario, è il 22. Devo sbrigarmi o rischio di perdere il treno; anzi, devo correre perché il vagone con le cuccette è sempre in fondo. 

- Biglietto, prego… 

Il controllore, un uomo grassoccio, una volta doveva essere stato magro perché si intravede l’anello all’anulare della mano sinistra. Sudato, con il berretto storto, il collo della camicia sbottonato, la cravatta allentata e messa di lato. Fa di tutto per essere gentile, ma si vede lontano un miglio, che non ne ha nessuna voglia. 

- Ecco. È un po’ stropicciato, ho avuto una giornataccia.

- Tu o il biglietto? In carrozza… occhio al trolley mi sa che è azzoppato…

- Sei bello tu…

- Muoversi…

- Si, certo. 

Individuo il mio scompartimento. È buio e c’è silenzio, meno male. Bene, la mia cuccetta in alto a sinistra mi aspetta e la raggiungo, cerco di non disturbare, con un po’ di fatica; ma avrò un po’ di ore per recuperare…tanto cosa dovrò fare fino a domattina?

 

Domattina. Già. Arriverà puntuale, come sempre e come sempre arriverà la notte e poi…mah! Chi ha inventato questo loop non aveva molta fantasia, oppure era stanco. Avrebbe potuto dire semplicemente: fate come cazzo vi pare.

 

Cosa starà facendo Cane? mi aspetta, non mangia se non ci sono io. Si fida solo di Anna, e lo faccio anch’io. Se non ho nulla da mangiare per me ne ho solo per lui. Quasi dieci anni insieme sono una bella botta di vita.

 

Al mio paesello, lì al sud, ma parlo di tanto tempo fa, all’ingresso di un negozietto in cui si vendeva di tutto, c’era un cartello con la scritta: meglio un cane amico che un amico cane.

Mah! In quel negozio non ho mai comprato nulla; non avevo soldi per comprare qualcosa, ma non lo avrei fatto per principio.

 

Ma che cazzo sto facendo qui? Voglio tornare a casa; voglio tornare da Anna e Cane e anche da Ines se è ancora viva.

 

Va bene, vediamo un po’.

 

Ciu ciuf, ciu ciuf, ciu ciuf. Il ritmo sempre più veloce e incalzante concilia il sonno. Forse agli altri.

Ciu ciuf, ciu ciuf, ciu ciuf, tun tun tun. Ciu ciuf, ciu ciuf, ciu ciuf, tun tun tun. No, non si dorme nemmeno stanotte, eccheccazzo…

 

Il corridoio del vagone è vuoto; c’è un altro li in fondo, che sta come me. Affondo la testa tra le braccia appoggiate al finestrino senza pensare a nulla. 

- “Ne pas se pencher au dehors”; non dormi neanche tu?

- Mi hai fatto venire un colpo, no non riesco a dormire. Tu, invece…

- No, non ce la faccio, ho la testa piena di cazzate e sto scendendo giù dai miei per accontentarli e per aggiungerne altre.

- Di cosa?

- Ma di cazzate, santo dio…

- Eh, eh, non prendertela con me, io faccio a pugni ogni giorno, e perdo sempre…

- Hai fatto a pugni con Dio?

- Ma quale Dio? Gli dei non fanno a pugni con gli uomini, perderebbero alla grande, perché loro sono loro, vivono da sempre e basta, non hanno la necessità di sopravvivere come noi.

- Già, sopravvivere. Di giorno all’università, di notte cameriera con un pon pon sul culo e se qualcuno mi tasta devo anche sorridere. Mi è rimasto un esame e la tesi, diventerò medico, e spero di ritrovarmeli fra le mani. E tu? Perché scendi?

- Mah, non lo so. Non ho nessuno o quasi, ho un fratello, non mi aspetta, non sa che sto arrivando. Comunque non ci sarà la fanfara. Ma non ho particolari desideri, ne ho due, voglio solo dormire, tanto. Svegliarmi e riaddormentarmi. Amo il risveglio, mi fa sentire vivo.

- Si, l’altro?

- Già, l’altro, voglio morire con la bocca chiusa. Se ci sarà qualcuno vicino a me gli chiederò di chiudermi la bocca. Mi fa impressione.

- Ma tu sei scemo, mi sarebbe piaciuto conoscerti prima, ma ora sta albeggiando, me ne vado in cuccetta.

- Non abbaiare

- Te l’ho già detto che sei scemo? 

Ormai siamo quasi arrivati al capolinea; lei scenderà prima di me e io l’accompagno all’uscita. Strano, non ci siamo detti nemmeno una parola e fermi accanto alla porta del cesso ci guardiamo negli occhi. 

- Io sono…

- No, non dirmi il tuo nome, io non ti dirò il mio. I tuoi occhi sono molto belli, e io ti chiamerò Begliocchi, si mi piace. 

Il treno sta per fermarsi e le mani di Begliocchi tradiscono un po’ di agitazione. 

- Ecco, sei arrivata

- …mio padre… 

 Sta per scendere dal treno, si volta verso di me e con la mano tocca la mia guancia sinistra; una carezza, accidenti una semplice carezza lunga una vita. 

- Ok Begliocchi, buona fortuna. 

L’accompagno con lo sguardo e lei sa che sono li, e prima di abbracciare suo padre si gira a guardarmi per l’ultima volta.

 

Finalmente sono arrivato al capolinea, scendo dal treno e vado direttamente alla biglietteria lasciando il trolley in mezzo alla sala. 

- A che ora parte il prossimo treno per Roma?

- Fra cinque minuti dal binario 1

- Bene, un biglietto di seconda classe. 

Comincio a correre per non perdere il treno; qualcuno mi chiama a voce alta:

- Ehi ragazzo, il trolley

- Si lo so è zoppo.

 

di Valentino Imbriani


Foto: Mario Guidi, E401 029 – Roma Termini – 8 luglio 2020

 

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